Inella: i quadri di casa
Quando ho visto i quadri di Inella sono stati certi “interni” a togliere la polvere dai ricordi. Una sensazione prima e poi la godibile riscoperta di frammenti della memoria capaci di comporre lo spazio di una casa, come si dice oggi, a misura d’uomo.
I quadri di Inella, in quel loro ostinato ma anche malinconico puntinismo, ripropongono il gusto di una dimensione quasi perduta, la dimensione della casa. E gli “interni” consentono di rivivere il caldo ambiente del salotto buono, la tavola apparecchiata con la frutta di stagione, le sedie imbottite patrimonio di famiglia, le tende a festone, i mobiletti un po’ sbilenchi, i quadri di casa, il dolce “bric a brac” della vita quotidiana. Dagli “interni” c’è poi modo di guardare oltre.
Dalle finestre aperte, ornate di vasi con fiori recisi in un ricamo di colori che si contrappunta alle tovaglie buone, con pizzi e merletti ornamento degli angoli romantici delle stanze. Dalle finestre i giardini con grandi alberi pieni di fiori, rami reclinati e qualche volta piangenti, altre volte allegri perché vivificati dal sole, alto nel cielo e rotondo come una palla di fuoco. Un mondo apparentemente irreale, con colori di favola e ricami di mistero. Ma solo apparentemente perché nella pittura di Inella il gusto della casa, del giardino, dei fiori non sono certo evasioni ma valori fondamentali, modo d’essere e di amare la vita. Che poi il linguaggio susciti singolari e contradittori ricordi è appena la rispondenza della nostra sollecitazione culturale, della deformazione derivante dall’informazione.
Si moltiplicano allora gli agganci: un puntinismo come ricamo, quasi una cineseria, una calligrafia orientale.
E più ancora una rilettura post impressionista, forse un tantino fauve, anche naif aggiunge qualcuno. Io penso che tutto questo affannarsi a ricercare classificazioni sia poco importante e certo per nulla interessante.
Inella è soprattutto una donna sensibile, con una cultura meridionale e quindi aperta alla sensazione, al fascino della musicalità, al piacere della fantasia. Tutto ciò non è fragilità o, peggio, ingenuità. È consapevolezza di valori che fanno vivere con indubbia saggezza. La sua pittura, quell’ostinato, malinconico, ma anche volitivo puntinismo – come fosse il ribadire di una scelta di un modo d’essere – dimostra che il gioco del colore e degli spazi è solo un modo diverso e più libero di essere viva e presente.
Trento, 5 novembre 1977 Gian Pacher
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